Tesla molla la Germania e torna negli Usa per i sussidi, ma c'è già la fila anche tra le big europee - V&A

2023-03-08 14:35:47 By : Mr. jianfei lu

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L’impatto dell’Inflazione Reduction Act degli Usa con le centinaia di miliardi stanziati per dare sussidi a chi deciderà di produrre su suolo statunitense inizia a dare i primi frutti anche all’Europa. Sì, ma avvelenati. L’ultimo, quello che ha fatto più notizia vista la popolarità del soggetto in questione, viene “prodotto” da Tesla e a pagarne le conseguenze è la Germania.

Il colosso dell’auto elettrica di Elon Musk ha infatti candidamente ammesso che i piani per il suo impianto tedeschi di Grünheide, vicino a Berlino, son radicalmente cambiati a causa dei sussidi promessi dall’amministrazione Biden. Certo, ci sarà produzione nell’impianto teutonico, ma non delle celle di batterie come si ipotizzava inizialmente. A Grünheide sono infatti in corso i preparativi per la produzione di singoli componenti come gli elettrodi, ma non quella delle celle di batterie. “Le agevolazioni fiscali dell’Ira hanno influenzato i nostri piani originali, in quanto la produzione di celle si concentra sugli impianti di produzione negli Stati Uniti”, ha ammesso Tesla.

Contano poco le rassicurazioni fatte dal colosso di Musk sul fatto che “l’avvio e l’espansione della produzione negli Stati Uniti” saranno “supportati da Grünheide”. Anche perché nell’impianto tedesco Tesla ha investito un miliardo di dollari, tanto che all’inaugurazione erano intervenuti come ospiti anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il ministro dell’Economia Robert Habeck. La prospettiva per l’Europa – se a Bruxelles non si troverà in fretta una quadra per lo stanziamento di fondi in grado di contrastare gli effetti negativi del bazooka americano – è quella di diventare, nei migliore dei casi, una succursale di Washington con produzioni, e quindi investimenti, di secondo piano. Mentre nel peggiore è quella di trasformarsi in un continente di soli consumatori.

Ma quello di Tesla, dicevamo, è solo il caso che fa più rumore. Inizia a esserci la fila delle aziende europee che iniziano a pensare a corposi investimenti negli Usa grazie al programma di sussidi. Settimana scorsa il ceo di Air Liquide – colosso francese che si occupa della produzione dei gas utilizzati negli impianti industriali e nei laboratori chimici – Francois Jackow ha spiegato in conferenza stampa che l’azienda “non ha mai avuto nella sua storia una tale possibilità di investimento” negli Usa.

Non si tratta di bruscolini. Basti pensare che nel piano di investimenti 2022-2025 il programma di Air Liquide è di stanziare 16 miliardi di euro in investimenti. 

Per non parlare di Linde, colosso tedesco della produzione dei gas industriali, che ha in programma di investire tra i 7 e i 9 miliardi in progetti legati alla produzione di energia pulita nei prossimi due-tre anni. Non è chiaro dove, ma quel che è certo è che i miliardi di dollari made in Usa fanno gola. Tanto che il ceo Sanjiv Lamba, già al termine dello scorso anno, spiegava che negli Usa Linde potrebbe arrivare a investire 30 miliardi di dollari nel prossimo decennio. 

In un panorama industriale e di investimenti che rischia di desertificarsi a favore della più verde Usa, Bruxelles e gli Stati europei sono impegnati in una battaglia per il proprio orticello. Il dialogo sui possibili nuovi fondi comuni per far fronte alla manovra statunitense aggressiva è incagliato nelle più classiche delle sabbie mobili europee.

Per una questione di equilibri i nuovi fondi comuni, che vedono tra i principali promotori proprio il governo italiano, non incontrano molto il gusto di Paesi in grado di sostenere in autonomia le proprie aziende come Francia e Germania. Che, non a caso, spingono invece per allentamenti delle regole sugli aiuti di Stato. E, se va bene, una quadra arriverà entro l’estate. Intanto le multinazionali europee si stanno già imbarcando direzione West per andare a prendersi l’oro promesso da Biden.

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